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Un altro giorno, un altro sesterzio

di Tullio Avoledo

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25 novembre 2009

«Un altro giorno, un altro sesterzio», diceva sempre la mia povera mamma, per convincermi ad alzarmi al mattino. Ma anche mille sesterzi sarebbero pochi, per giornate come questa. Il garum e il Falerno di ieri notte ballano la pirrica nella mia testa.
Guardo sconfortato l'omnibus stracarico, con i turisti che puntano le loro macchine fotopittoriche su tutto, me compreso.
Salgo, saluto l'autista, prendo il megafono.
Mi schiarisco la voce.
«Signore e signori, benvenuti al tour della Città Eterna della Carpe Viam. Io sono Lucius Vafer, e sarò la vostra guida in questa bella mattinata romana».
Comincio sempre così. E mentre l'omnibus si mette in movimento attacco a spiegare quello che stanno vedendo. In realtà generalmente non c'è molto da vedere. È tutta una serie di «lì c'era» e «qui un tempo sorgeva». Ma ai turisti va bene così.
Il tour parte dal colle Vaticano, da un angolo dell'immensa piazza su cui sorge il tempio rivestito d'oro dedicato a Thor, Wotan e Freyr. È stato eretto fuori dalle antiche mura per evitare contaminazioni con gli dei del passato. Al centro della piazza si erge l'enorme obelisco che un tempo decorava la spina del Circo di Nerone.
«Oggi la piazza è affollata già di prima mattina perché domani è la festa di Alban Eiler, l'equinozio di primavera, il cuore delle celebrazioni del mese dedicato dai Germani alla dea Ostara. Come sapete, anche nell'antica Roma si festeggiava questo giorno. L'anno cominciava il 14 marzo, con la cacciata simbolica di Mamurio Veturio, un uomo coperto di pelli di capra che rappresentava l'anno vecchio».
Parte il primo applauso. Questi nostalgici del passato.
Parlo l'Antica Lingua, naturalmente. Mio padre sarebbe rimasto stupito vedendo questi Han e Nippon e Angli dipinti di blu che capiscono quella che solo cinquant'anni fa era una lingua morta, come lo era il calendario per cui quest'anno è adesso il 2762 ab Urbe condita e non più il 1555 dalla nascita di Küng Thiudoric. Il latino è riapparso dal nulla, come la nostra razza, un tempo dispersa ai quattro angoli del globo dalla Grande Diaspora e ora riunita, dopo 1.500 anni, nella terra ancestrale del Lazio.
«Alla vostra sinistra potete vedere i resti del Mausoleo di Adriano».
Le macchine fotopittoriche scattano all'unisono. Un ronzio collettivo come quello di un alveare. In realtà quello che si vede da questo lato è solo una collina coperta da una foresta di pini. Sono i discendenti degli alberi che duemila anni fa adornavano la sommità del mausoleo. Dopo il crollo di Roma, nei Secoli Morti, i Germani usavano la collina per i loro riti. A ogni ramo di quei pini, a Yuletide, dopo la Wildes Heer, la Cavalcata Selvaggia, rimaneva appeso un brandello di carne umana. Yuletide è la festa d'inverno che coincide con i nostri Saturnalia, il 25 dicembre.
«Ed ecco, sul lato sud della collina, potete vedere gli archeologi al lavoro per riportare alla luce l'antico mausoleo. Vi è la possibilità, secondo alcuni, che le ceneri dell'imperatore Adriano riposino ancora là sotto».
Le impalcature si arrampicano sul fianco della collina, scoperta come se fosse stata morsa da un drago. Il marmo e il bronzo cominciano a riapparire dall'erba e dal fango. È una fortuna che i nostri conquistatori amassero quella che adesso si chiama "architettura biologica": legno e paglia. La loro Roma era fatta di capanne. Gli edifici antichi sono rimasti intatti nei secoli sotto terra, a parte i danni bellici o quelli provocati da terremoti e fulmini.
Ci vorranno comunque almeno trent'anni, per riportare il mausoleo alla luce. Cantieri come questo sono aperti in tutta la città sin dalla Ricollocazione, nel 2702 a.U.c. A volte rendono impossibile il traffico, ma è un inconveniente accettabile. L'industria del turismo è l'unica di questa città. Nel resto del Lazio ci sono alcune fabbriche di ceramiche, e un paio di mobilifici che esportano in tutto il mondo arredi in stile latino, ma per il resto le uniche attività diffuse sono l'agricoltura e la pastorizia. Importiamo praticamente tutto. La valuta dei turisti ci serve. Per questo sorridiamo anche quando il cuore ci sanguina, come adesso che una matrona nipponica, ridicola nella sua toga praetexta, mi chiede di declamare qualche verso in latino su Adriano.
In realtà tutto quello che ci è rimasto della grande letteratura latina (che sia stata grande è necessariamente un articolo di fede) è qualche frammento di papiro sopravvissuto all'incendio della biblioteca di Alessandria per mano dei Persiani. A volte un rotolo riemerge dagli scavi, ma appena aperto si sbriciola, riducendosi in polvere. Un giorno forse troveranno una tecnica per recuperare le parole del passato. Ma non oggi. Così recito con tono ispirato la traduzione latina - fatta dieci anni fa - di un racconto germanico, la Saga di Adriano. Quello che sappiamo davvero di quell'imperatore l'abbiamo scoperto dalla sua villa di Tivoli, il cui restauro verrà terminato, stando alle previsioni degli architetti egiziani Hotep e Menhotep, non prima del 2800, nonostante le dichiarazioni ottimistiche del primus consul Silvius Arcorius ripetute a ogni rielezione. La verità è che siamo troppo poveri per poterci permettere imprese come questa. Inoltre siamo circondati da nemici ostili. All'esterno e all'interno. Solo tre giorni fa, agli Horti Traianei, l'esplosione di un carretto-bomba ha provocato dodici morti. Il fuoco greco ha distrutto due intere insulae.
  CONTINUA ...»

25 novembre 2009
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